crive la Leggenda antiqua S. Francisci: «Ritornando dalla Verna (con impresse nel suo corpo le stimmate del Signore) stremato di forze, Francesco si fermò al monastero di S. Damiano, nel quale vivevano Chiara e le sue sorelle. Per cinquanta giorni e più non fu in grado di sopportare la luce del sole durante il giorno, né il chiarore del fuoco durante la notte. I suoi occhi lo tormentavano al punto da non lasciarlo quasi neppure riposare e dormire». Prossimo al definitivo tracollo, Francesco pregò: «O Signore, soccorrimi nelle mie infermità, affinché abbia la forza di sopportarle pazientemente!». Non tardò la risposta: «Dimmi, fratello: se qualcuno ti offrisse in dono, come compenso per le tue sofferenze e tribolazioni, un immenso e prezioso tesoro, quale l'intera terra trasformata in oro fino, i ciottoli in pietre preziose e l'acqua dei fiumi in profumo, terresti ancora in qualche conto, a paragone di un simile tesoro, la terra, i ciottoli e le acque? Non te ne rallegreresti?». Francesco rispose: «Signore, sarebbe un immenso tesoro, preziosissimo, inestimabile, al di là di tutto ciò che si può amare e desiderare!». «Ebbene, fratello - disse la voce - rallegrati e sii lieto in mezzo alla tua infermità ed alle tue tribolazioni: d'ora in avanti vivi in pace, come se tu fossi già nel mio Regno!». Ed ecco che, improvvisamente, cominciò a brillare in lui la gioia dell'aurora. Chiamò i suoi compagni, e disse loro: «Voglio, dunque, fare una laude nuova del Signore dalle sue creature; che sia a sua lode, e a nostra consolazione, e ad edificazione del prossimo». Quindi, dopo essersi raccolto in silenziosa meditazione, cominciò a dettare: «Altissimu Onnipotente, bon Signore...» Ecco la straordinaria, stupefacente conclusione di un'esperienza che, se non fosse mai stata raccontata, avrebbe lasciato molti nel dubbio sul modo in cui il Cristianesimo ha insegnato a guardare all'uomo e al resto del creato. Ed Emerson? Egli - finalmente ci siamo arrivati - è senza ombra di dubbio un erede di questa visione solare, fiduciosa, "ottimistica" della vita, dell'uomo, della natura. e perciò la sua presa di distanza dal puritanesimo dei suoi avi fu nettissima. Come del resto appare evidente in innumerevoli passi delle sue opere. In Emerson, a petto di tante e significative risonanze erasmiane, c'è pochissimo di Lutero e di Calvino, a modo loro autentici discepoli di Lotario Diacono, l'autore del De contemptu mundie il futuro Innocenzo III. E a volte quasi si stenta a credere che sia un figlio del New England. Anche se, per ironia del destino, egli è uno dei padri dello "spirito americano". In ogni caso, se anche non fece mai, apertamente, professione di simpatie "cattoliche", la sua ammirazione per tutto ciò che di sublime - nell'arte e nella cultura in genere - lo spirito del cattolicesimo aveva prodotto, fu costante e spesso commossa. Quà e là nei suoi diari o nelle sue lettere, inoltre, troviamo tracce di una profonda attrazione per le forme della liturgia cattolica. Ma quel che più conta è che se da una parte il "Cantico delle creature" non contiene nulla che egli non potrebbe sottoscrivere senza esitazione, dall'altra nel pensiero essenziale di Emerson, nei suoi fondamenti e nei suoi tratti più caratteristici, non vi è praticamente niente che possa veramente e a ragion veduta "scandalizzare" colui il quale di Francesco d'Assisi abbia compreso a fondo il "paradosso" di cui si è detto in precedenza. Comunque, al di là delle concordanze o discordanze su singoli aspetti "dottrinari", ciò che a me fin dal primo approccio con Emerson più stava a cuore, era chiarire, innanzitutto a me stesso, se quanto costituiva un complesso di nozioni e convinzioni filosofico-teologiche fortemente radicato nella tradizione cristiano-cattolica non fosse in qualche modo messo in forse o contraddetto da qualcuno degli aspetti qualificanti del pensiero emersoniano. Il che, se in termini di pura ortodossia non era una questione priva di interesse per una miriade di potenziali cultori dello stesso, da un punto di vista interamente "laico" poteva risultare un'indagine ancora più interessante. Per la semplice ragione che si poteva mettere in risalto l'universalità di Emerson, cioè la sua capacità di mettere d'accordo, intorno ad un'idea della dignità e della nobiltà della natura umana, credenti e non credenti, cristiani e induisti, buddisti e musulmani. Posso dire in tutta sincerità di non aver avuto sorprese lungo il cammino. Ma non posso tacere che Francesco d'Assisi ha sciolto l'ultimo nodo facendomi cogliere l'unica, autentica inconsistenza del pensiero emersoniano. Ecco perché, per uscirne fuori, dovevo condurre Emerson alla Verna. Il che è accaduto semplicemente perché doveva accadere, e non perché lo avessi programmato. Se questo significhi che Emerson avesse bisogno di essere "redento" non saprei dire. Certo è che, almeno per quanto mi riguarda, ora mi è più facile intravvedere, dietro il molteplice, l'unità sostanziale. Questa meditazione finisce qui. E qui, a sigillo, lascia a Francesco l'ultima parola. Altissimu Onnipotente, bon Signore, |